La stampa italiana ha incoronato il re di Bitcoin, poche ore dopo il suo ingresso in una delle peggiori carceri del mondo, quella di Fox Hill a Nassau, Bahamas. Malafede? Ignoranza? Voglia di fare un titolo ad effetto? Il rapporto tra Bitcoin e stampa mainstream continua ad essere pessimo, segno anche del fatto che chi divulga, come si prova fare timidamente anche da queste pagine, ha ancora molta strada da fare.

Un mea culpa, se volete, senza intenzione alcuna di prenderci carico delle colpe altrui e senza alcuna intenzione al tempo stesso di mollare. Perché Bitcoin non ha un re e perché proprio questa assenza di monarchi, di capi, di controllori lo rende il sistema monetario di tutti, per tutti, in qualunque luogo e in qualunque momento.

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Bitcoin non ha un re: chi non lo conosce prenda appunti

Lungi dal voler mettere in piedi una lectio magistralis, riteniamo comunque che sia il caso di rimettere qualche proverbiale puntino sulle i. Perché quando si parla di Bitcoin bisognerebbe cercare di farlo con un po’ più di attenzione a quanto si dice, senza prendersi licenze poetiche che mai ci sogneremmo di prenderci quando parliamo di questioni finanziariamente, politicamente o anche soltanto socialmente serie e sentite.

Il motivo di questa nostra avvelenata è il curioso titolo comparso su La Stampa, a cappello di un articolo nientepopodimeno che destinato agli utenti premium, ovvero gli utenti paganti che hanno accesso esclusivo a quanto probabilmente gli era stato venduto come servizio di livello più alto. E per fortuna, verrebbe da aggiungere.

Sì, perché il titolo in questione recita testualmente: Bitcoin, manette al re, con un riferimento ovvio (e rinforzato didascalicamente dalla foto allegata all’articolo) alle recenti vicissitudini di Sam Bankman-Fried. Che era Re di qualcosa, ma nemico e antagonista giurato di Bitcoin. Non perché siamo noi o qualche massimalista on steroids a dirlo, ma perché egli stesso si era espresso a più riprese proprio contro $BTC.

La questione, per chi non mastica molto la storia recente del mondo Bitcoin, andrà riassunta con qualche estratto direttamente dalla viva voce di SBF.

Il Re nemico del suo regno: ecco cosa diceva Sam Bankman-Fried su Bitcoin

Ora che non vive più in un’opulenta villa alle Bahamas tutti fanno finta di non conoscerlo. Eppure soltanto fino a qualche settimana fa la politica che conta e i giornali mainstream lo descrivevano come il prodigio che avrebbe portato ordine nell’anarchia di crypto e Bitcoin. E lo facevano anche perché SBF era solito scagliarsi proprio contro Bitcoin. Un esempio? Era il 15 masggio, praticamente un’era geologica fa tenendo conto del ritmo al quale questo comparto evolve. Sam Bankman-Fried era considerato ancora da tutti un genio (fatta eccezione per uno sparuto gruppo di amanti di Bitcoin) e affermava quanto segue:

Il network Bitcoin non è un network di pagamento e non può scalare.

Puntando al suo meccanismo di consenso in Proof of Work e seguendo l’esempio degli attacchi che poi partiranno anche da Greenpeace. Non esattamente le opinioni che ci aspetteremmo dal re di Bitcoin, non trovate?

  • Don’t trust, verify

È forse il motto più importante tra quelli che sono tradizionalmente collegati alla cultura Bitcoin. E sono un antidoto nei confronti di personaggi come Sam Bankman-Fried. Che non solo stava vendendo Bitcoin che non esistevano, ma che al tempo stesso non sarebbe potuto durare mai secondo gli standard di sicurezza e trasparenza che il network che lui apprezzava così poco offre invece alla generalità degli esseri umani.

  • Non si può creare dal nulla

E per capire quanto poco sia stato SBF il Re di Bitcoin ricordiamoci anche di come aveva sostenuto la crescita del suo exchange e anche della sua società di investimenti: stampando dal nulla valore con una serie di token di cui era l’unico market maker. Ancora una volta, in aperto contrasto a quello che Bitcoin è. Ovvero una valuta digitale scarsa e che ha un cap limitato a 21.000.000.

In altre parole definire Sam Bankman-Fried come re di Bitcoin sarebbe come definire Liver King re dei body builder natural, o, ancora, come dichiarare Christine Lagarde regina della DeFi. Qualcosa che non ha ovviamente senso. Qualcosa che farà magari guadagnare qualche click, al costo però della poca credibilità rimasta. Non lamentiamoci poi se grandi testate storiche soffrono in edicola, soffrono online e sono ormai parcheggio dell’ego di questo o quell’editore, di questo o quel direttore.