Mark Cuban torna a parlare di criptovalute e questa volta, nonostante uno score non esattamente perfetto all’interno del mondo cripto, dobbiamo anche dargli ragione. Sì, perché il poliedrico imprenditore si è scagliato – e gliene diamo merito – sul recente comportamento di SEC, l’authority che si occupa di controllare e normare i mercati negli USA, anche quando sarebbero al di fuori della sua giurisdizione.

Cuban si è infatti lamentato pubblicamente di quanto la potente agency sta facendo, con tutti i danni collaterali e diretti ad un mondo cripto che, nonostante gli strali di Gary Gensler, continua comunque ad espandersi e a sviluppare.

Un’opinione che sosteniamo ormai da tempo su Criptovaluta.it e che adesso trova un altro potente alleato, segno che non sono soltanto farneticazioni anarcoidi quelle che riportiamo su questa testata, ma preoccupazioni anche da parte di chi è abituato ad operare su mercati regolamentati. Il tutto all’interno di un sentiment negli USA che sta finalmente cambiando e che potrebbe voler dire guai grossi per un’agenzia governativa che sembrerebbe aver perso completamente il lume della ragione quando si tratta di mercato delle criptovalute.

Mark Cuban non ci sta: “SEC incredibilmente ipocrita

Parole molto dure per un personaggio che, lo ricordiamo ai nostri lettori, non è esattamente un troll account su Twitter né ha uno score da attivista anarchico. Mark Cuban è infatti uno degli imprenditori di maggior successo negli Stati Uniti, e anche nel mondo cripto si è dato particolarmente da fare, in particolare su Ethereum, su Dogecoin e anche in relazione al mercato della DeFi.

Ipocrisia SEC secondo Mark Cuban

Il magnate si è espresso senza mezzi termini su quanto sta avvenendo nel mondo della regolamentazione e in particolare sul comportamento di SEC, che ha giudicato con parole durissime.

SEC è incredibilmente ipocrita. Vedete, parlano di protezione degli investitori. Sapete… parlano sempre di protezione degli investitori. Lo sapete cosa sono i Pink Sheet? Ho controllato giusto ieri perché due giorni fa qualcuno me lo aveva chiesto. Ci sono 16.750 azioni Pink Sheet, probabilmente lo stesso numero di token in circolazione. Non c’è alcuna protezione da nessuno e su nessun mercato che arrivi da SEC, nonostante sia nella loro giuridizione.

Tornando poi anche su altri aspetti che riguardano la modalità con la quale SEC verifica il comportamento dei fondi.

Dovrebbero proteggervi, ma ci sono fondi – ETF e non – che hanno in portafoglio azioni di paesi che non hanno le protezioni di SEC o simili. Non gli interessa. Potete comprarli e venderli. Ci sono società che sono comprate e vendute su grandi piazze e mercati che non hanno audit o altro tipo di controlli. […] E quindi quando SEC arriva e dice di voler proteggere gli investitori dale criptovalute, non stanno neanche in realtà operando sul mercato che gli compete. Non c’è un approccio chiaro e devi cercare di capire come comportarti da solo. La SEC opera con la regulation through litigation [Ovvero la regolamentazione attraverso cause legali, NDR], il che vuol dire che non ci dice quali regole vogliano che siano seguite. È quanto sta facendo con COinbase. Fanno causa. Con la speranza che quanto emerge dai processi diventi precedente, che potranno poi utilizzare.

Una critica che troviamo assolutamente ineccepibile e sul pezzo, dato che descrive perfettamente il comportamento che SEC ha tenuto negli ultimi mesi, tanto nei confronti di progetti come Ripple, quanto invece contro gli exchange.

Finalmente qualcuno fa la voce grossa

E finalmente lo fa un personaggio che di mercati vive e che soprattutto può modificare l’opinione pubblica, facendo emergere quello che a nostro avviso è uno dei problemi principali per quanto riguarda lo spazio delle criptovalute e di Bitcoin.

Con una difesa di tutte quelle imprese che in realtà creano ricchezza, benessere e posti di lavoro come Coinbase, che da società quotata si meriterebbe un trattamento non migliore, ma quantomeno uguale a quello delle società finanziarie che trovano ospitalità a Wall Street. Qualcosa per il quale, ahinoi, dovremo probabilmente ancora aspettare a lungo.